Aristotele - La Logica

Appunto approfondito sulla Logica aristotelica

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  1. Zeus™
     
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    Aristotele - La Logica
    Appunto approfondito sulla Logica aristotelica
    Aristotele - La Logica:

    La Logica è chiamata da Aristotele analitica (metodo di risoluzione del ragionamento nei suoi elementi costitutivi). I termini logica e organon sono infatti di derivazione posteriore: logica e quasi certamente un termine di origine stoica, logica intesa come scienza dei "logoi" cioè dei discorsi (studio del pensiero espresso nei discorsi). Organon fu utilizzato per la prima volta da Alessandro di Afrodisia per designare la logica e dal VI d.C. per denominare gli scritti aristotelici riguardanti l'analitica, significa più precisamente strumento (di ricerca) e servirebbe a sottolineare la funzione propedeutica o introduttiva della logica (strumento di cui si avvalgono tutte le scienze).
    Lo sviluppo della logica aristotelica va pensato in parallelo (contemporaneamente) allo sviluppo della metafisica. Aristotele non inserisce la logica nel quadro delle scienze. Il senso moderno del termine logica non rappresenta l'analitica aristotelica, (modernamente è infatti intesa come scienza senza oggetto e senza contenuto), Aristotele la intendeva come la struttura della scienza in generale (l'oggetto) che non è altro che la struttura stessa dell'essere, cioè l'oggetto dello studio della scienza. Tant'è vero che per Aristotele fra le forme del pensiero, studiate dalla logica, e le forme della realtà, studiate dalla metafisica, esiste un rapporto necessario.
    La logica nell'organon aristotelico si divide così:
    * logica del concetto;
    * logica della proposizione;
    * logica del ragionamento;

    I concetti possono essere disposti in una scala di maggiore o minore universalità e classificati mediante il rapporto genere:specie.
    Ogni concetto in un determinato settore è infatti specie (contenuto) di un concetto più universale e genere (contenente) di un concetto meno universale: quadrilatero = specie rispetto al poligono e genere rispetto al quadrato.
    La specie è un concetto che ospita un maggior numero di caratteristiche, ma può venir riferito a un minor numero di individui rispetto al genere. Di conseguenza la comprensione (l'insieme delle qualità caratteristiche di un concetto) e l'estensione (il numero degli esseri cui fa riferimento un concetto) hanno un rapporto inversamente proporzionale (arricchendosi una si impoverisce l'altra e viceversa).
    La scala dei concetti quindi, percorsa dal dall'alto in basso (genere → specie) offre un progressivo aumento di comprensione e una progressiva diminuzione dell'estensione sino a giungere al concetto di una specie che non ha sotto di se altre specie, tale è l'individuo o sostanza prima. Percorsa dal basso verso l'alto invece si arriva ai generi sommi (massimo di estensione e minimo di comprensione) che non sono altro che le dieci categorie della metafisica: sostanza, qualità, quantità, relazione, agire, subire, il quando, il dove, il giacere, l'essere in una certa situazione.

    Dopo aver chiarito la natura dei concetti e delle categorie, Aristotele (nel libro sull'interpretazione) prende in considerazione quelle combinazioni di termini che si chiamano enunciati apofantici (o dichiarativi), ossia le frasi che costituiscono asserzioni e non già preghiere, comandi, esclamazioni ecc. (per Aristotele rientri nella logica solo il discorso apofantico, il solo a poter essere dichiarato vero o falso). Tali enunciati si identificano con le proposizioni, che non sono altro che l'espressione verbale dei giudizi, cioè gli atti mentali con cui uniamo o disuniamo determinati concetti nella struttura di base soggetto-predicato. Aristotele divide le proposizioni per qualità (affermative o negative) a seconda che attribuiscano qualcosa a qualcosa o separino qualcosa da qualcosa, le divide poi per quantità (universali o particolari) in base al soggetto, universale o particolare appunto: tutti gli uomini = universale, alcuni uomini = particolare. Aristotele ha dedicato particolare attenzione al rapporto esistente fra proposizioni universali e particolari andando a formare uno schema.
    Questo schema fu fatto dai logici medioevali, che lo chiamarono "quadrato degli opposti", indicando le varie specie di proposizioni con le lettere che si sono indicate, ossia: con A (prima vocale di adfirmo) l'universale affermativa, con E (la prima vocale di nego) l'universale negativa; con I (seconda vocale di adfirmo) la particolare positiva, con O (la seconda vocale di nego) la particolare negativa. Come risulta dal quadrato logico è detta contraria l'opposizione fra l'universale affermativa e l'universale negativa (quantitativamente identiche ma qualitativamente diverse); contraddittoria l'opposizione fra l 'universale affermativa e la particolare negativa e fra l'universale negativa e la particolare positiva (differiscono fra di loro sia qualitativamente che quantitativamente; sub-contraria l'opposizione fra la particolare positiva e la particolare negativa; subalterna la relazione (e non già come si scrive talvolta, l'opposizione) fra l'universale affermativa e la particolare affermativa e fra l'universale negativa e la particolare negativa.
    Aristotele considera anche il modo in cui avviene l'attribuzione di un predicato ad un soggetto distinguendo l'asserzione (a è b), la possibilità (a è possibile che sia b) e la necessita (a è necessario che sia b).

    Il sillogismo.
    Chiarita la natura delle proposizioni, Aristotele passa a delucidare le strutture e i modi del ragionamento. Secondo Aristotele quando noi affermiamo o neghiamo non stiamo ancora ragionando. Noi ragioniamo quando passiamo da giudizi, da proposizioni a proposizioni che abbiano fra di loro un nesso o che comunque siano in qualche modo l'una la causa dell'altra, le une antecedenti, le altre conseguenti (altrimenti il nostro discorso non avrebbe nessun senso).
    Il sillogismo è precisamente il ragionamento per eccellenza, ovvero un discorso dove poste talune cose (le premesse) segue necessariamente qualcos'altro ( le conclusioni) per il semplice fatto che quelle sono state poste.

    Esempio di sillogismo:
    Premessa maggiore ogni animale (termine medio) è mortale (termine o estremo maggiore)

    Premessa minore ogni uomo (termine o estremo minore) è animale (termine medio)

    Conclusione ogni uomo (termine o estremo minore) è mortale (termine o estremo maggiore)

    La premessa maggiore e la premessa minore fungono da antecedenti e la terza (la conclusione) da conseguente. Inoltre nel sillogismo si hanno tre termini o elementi: il maggiore, che ha l'estensione maggiore o compare come predicato nella prima premessa; il minore, che ha l'estensione minore e compare come soggetto nella seconda premessa; il medio, che ha estensione media e si trova in entrambe le premesse, una volta come soggetto e una volta come predicato.
    Il termine maggiore e il termine minore compaiono pure nella conclusione, dove si presentano uniti fra di loro nelle vesti di soggetto (il minore) e di predicato (il maggiore). Questo avviene grazie al termine medio che funge da cerniera fra i due e quindi da perno dell'intero sillogismo. Questo accade perché il termine medio (animale) da un lato risulta incluso nel termine maggiore (mortale) dall'altro include in se il termine minore (uomo).
    Il problema delle premesse.
    Gli Analitici Primi studiano la struttura del sillogismo in maniera puramente formale, badando solamente alla coerenza interna dei suoi passaggi. Aristotele è però ben consapevole che la validità del sillogismo non si identifica con la sua verità. Se infatti un sillogismo ha validità strutturale ma parte da premesse false il sillogismo risulterà falso anche se corretto dal punto di vista formale. Negli Analitici Secondi infatti, Aristotele si sofferma sul problema delle premesse.
    Ma come si ottengono le premesse vere?
    Su questo punto lo stagirita non è sempre chiaro. Si dice infatti che per Aristotele le premesse prime del ragionamento si identificano con i cosiddetti assiomi, ossia con quelle proposizioni, vere di verità intuitiva, che risultano comuni a più scienze, oppure a tutte le scienze, oppure in base al principio di identità (ogni cosa è uguale a se stessa) oppure il principio del terzo escluso (tra due opposti contraddittori non c'è via di mezzo. Tuttavia questi principi logici non sono ancora sufficienti ai fini della costruzione del sapere concreto, in quanto non contengono la causa di nessuna verità particolare. Attraverso il suo ragionamento Aristotele arriva a spiegare che il problema delle premesse si concretizza con quello delle definizioni delle singole scienze, ma allora la domanda diventa: come si ottengono le definizioni?
    Aristotele sembra risolvere tale problema con l'induzione, ossia tramite quel procedimento grazie a cui dal particolare si arriva all'universale... tuttavia questo procedimento non è corretto come quello deduttivo e si incappa in altri errori. Aristotele risponde allora che le definizioni derivano dall'intelletto (nous) e dal suo potere di intuizione razionale. Trasforma così l'intuizione nel principio della scienza. La scienza si configura per Aristotele come un sapere delle essenze fondato su di un atto di intuizione intellettuale che opera a contatto con l'esperienza.
     
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