Lasciare o raddoppiare? Il nucleare francese a un bivio

Parigi deve decidere in che direzione muovere la sua politica energetica.

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    Lasciare o raddoppiare? Il nucleare francese a un bivio
    Parigi deve decidere in che direzione muovere la sua politica energetica. Insistere sull'atomo, mettendo in conto costi almeno doppi di quelli attuali per mantenere sicure le proprie centrali, oppure cambiare significativamente il mix di fonti di cui si serve


    PARIGI - Il nucleare francese non ha costi « nascosti », tenuti segreti dalla lobby dell’atomo, come dicono alcuni gruppi di ecologisti. Ma il futuro del settore chiede investimenti che il paese, probabilmente, non è in grado di finanziare: la Francia dovrà dunque rapidamente decidere tra un allungamento della durata di vita delle sue centrali o lo sviluppo di nuove forme di energia. E’ la conclusione cui giunge un rapporto della Corte dei conti sulla filiera dell’atomo, tema particolarmente delicato a tre mesi dalle elezioni.

    In un’intervista al quotidiano ‘Le Monde’, il presidente della Corte, l’ex deputato socialista Didier Migaud, ha sintetizzato il risultato principale dell’inchiesta condotta dai suoi magistrati e durata otto mesi: «Al di là delle scelte che saranno fatte, bisogna prevedere importanti investimenti per mantenere la produzione attuale, che rappresentano come minimo il raddoppio del ritmo attuale di investimenti per la manutenzione». Questo farà crescere del 10% il costo medio di produzione dell’elettricità. E ancora: entro la fine del 2022, 22 reattori su 58 avranno raggiunto i 40 anni di vita. Rimpiazzarli, dice Migaud, richiederebbe uno sforzo finanziario considerevole, «che sembra poco probabile, addirittura impossibile. Questo significa che attraverso l’assenza di decisioni di investimento è già stata presa una decisione implicita che ci impegna: allungare la durata di vita delle centrali o modificare significativamente e rapidamente il mix energetico verso altre fonti di energia, il che suppone investimenti complementari».

    Restare o uscire dal nucleare, in ogni caso, costerà moltissimo. Le spese di demolizione dei 58 reattori erano stimate nel 2010 a 18,4 miliardi, ma la Corte ritiene questa cifra sottovalutata rispetto ai parametri stranieri e soprattutto alle possibili nuove norme per la difesa dell’ambiente e la decontaminazione dei siti. Ma anche costruire costa caro: nel 1978, bisognava sborsare 1,07 milioni per megawatt di potenza installata; nel 2000 si è saliti a 1,37 milioni; l’Epr in costruzione a Flamnville costerà ben 3,7 milioni per ogni megawatt di potenza installata, un costo che potrebbe scendere a 3,1 milioni in caso di produzione in serie degli Epr. E la manutenzione delle centrali, dopo il dramma di Fukushima, costerà 55 miliardi in quindici anni. Il tutto senza contare i costi legati al trattamento e allo stoccaggio delle scorie nucleari (28,4 miliardi), che la Corte pensa debbano salire.

    I magistrati hanno cercato di dare un quadro fedele delle cifre, spetta adesso ai politici fare le scelte energetiche. Sarà il prossimo presidente a dover lanciare la riflessione e a scegliere rapidamente: fortemente dipendente dall’atomo, che fornisce il 74 per cento dell’elettricità, la Francia deve immaginare il suo futuro energetico dopo essersi riposata sugli allori di una politica lanciata a cavallo degli anni ’60-’70.
    (31 gennaio 2012)
     
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